Cato Maior de Senectute, 77

Non enim video cur, quid ipse sentiam de morte, non audeam vobis dicere, quod eo cernere mihi melius videor, quo ab ea propius absum. Ego vestros patres, P. Scipio, tuque, C. Laeli, viros clarissimos mihique amicissimos, vivere arbitror, et eam quidem vitam, quae est sola vita nominanda. Nam, dum sumus inclusi in his compagibus corporis, munere quodam necessitatis et gravi opere perfungimur; est enim animus caelestis ex altissimo domicilio depressus et quasi demersus in terram, locum divinae naturae aeternitatique contrarium. Sed credo deos immortalis sparsisse animos in corpora humana, ut essent, qui terras tuerentur, quique caelestium ordinem contemplantes imitarentur eum vitae modo atque constantia. Nec me solum ratio ac disputatio impulit, ut ita crederem, sed nobilitas etiam summorum philosophorum et auctoritas.

1 commento:

  1. Non vedo perché dovrei tacervi la mia idea della morte dal momento
    che mi sembra di giudicare meglio quanto più mi avvicino a essa. Credo che
    i vostri padri, il tuo, Scipione, e il tuo, Lelio, uomini molto in vista e
    miei cari amici, vivano ancora, e addirittura l'unica vita degna di
    chiamarsi tale. Infatti, finché siamo oppressi dalla prigione del corpo,
    adempiamo a un dovere di necessità, a una pesante incombenza: questo
    perché l'anima, celeste, dalla sua dimora altissima è stata sprofondata e
    quasi sepolta in terra, luogo contrario alla natura divina e all'eternità.
    Ma, secondo me, gli dèi immortali hanno disseminato le anime nei corpi
    umani perché ci fossero dei custodi della terra che, contemplando l'ordine
    delle cose celesti, lo imitassero vivendo con misura e coerenza. E non
    solo la logica del ragionamento mi ha indotto a crederlo, ma anche la
    riconosciuta autorità dei maggiori filosofi.

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