Sallustio: Bellum Iugurthinum, 4
Ceterum ex aliis negotiis, quae ingenio exercentur, in primis magno usui est memoria rerum gestarum. Cuius de virtute quia multi dixere, praetereundum puto, simul ne per insolentiam quis existimet memet studium meum laudando extollere. Atque ego credo fore qui, quia decrevi procul a re publica aetatem agere, tanto tamque utili labori meo nomen inertiae imponant, certe quibus maxima industria videtur salutare plebem et conviviis gratiam quaerere. Qui si reputauerint, et quibus ego temporibus magistratus adeptus sum [et] quales viri idem assequi nequiverint et postea quae genera hominum in senatum pervenerint, profecto existimabunt me magis merito quam ignavia iudicium animi mei mutavisse maiusque commodum ex otio meo quam ex aliorum negotiis rei publicae venturum. Nam saepe ego audivi Q. Maximum, P. Scipionem, praeterea civitatis nostrae praeclaros viros solitos ita dicere, cum maiorum imagines intuerentur, vehementissime sibi animum ad virtutem accendi. Scilicet non ceram illam neque figuram tantam vim in sese habere, sed memoria rerum gestarum eam flammam egregiis viris in pectore crescere neque prius sedari, quam virtus eorum famam atque gloriam adaequauerit. At contra quis est omnium his moribus, quin divitiis et sumptibus, non probitate neque industria cum maioribus suis contendat? Etiam homines novi, qui antea per virtutem soliti erant nobilitatem antevenire, furtim et per latrocinia potius quam bonis artibus ad imperia et honores nituntur; proinde quasi praetura et consulatus atque alia omnia huiusce modi per se ipsa clara et magnifica sint ac non perinde habeantur, ut eorum qui ea sustinent virtus est. Verum ego liberius altiusque processi, dum me civitatis morum piget taedetque. Nunc ad inceptum redeo.
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1 Del resto, fra le altre attività intellettuali, di particolare
RispondiEliminautilità è da considerarsi la rievocazione degli avvenimenti del passato. 2
Penso, peraltro, di non dovermi soffermare sulla sua importanza, dato che
già molti ne hanno parlato; non voglio, poi, che si pensi che proprio io
mi metta a esaltare, per vanità, i meriti della mia fatica. 3 Eppure non
mancheranno, credo, coloro che chiameranno ozio un'occupazione nobile e
importante come questa, dal momento che ho deciso di vivere lontano dalla
politica: e saranno senza dubbio quei tali che ritengono attività
estremamente importanti rivolgere saluti alla plebe e ingraziarsela con
banchetti. 4 Ma se si considereranno in quali tempi mi toccarono le
cariche, a quali uomini furono negate e che razza di gente mise poi piede
in Senato, certamente riconosceranno che ho cambiato il mio modo di
pensare a ragion veduta più che per viltà e che questo mio ozio gioverà
alla repubblica più dell'affaccendarsi di altri. 5 Quinto Massimo, Publio
Scipione e altri eminenti personaggi della nostra città erano soliti
affermare, come più di una volta ho udito narrare, che, osservando i
ritratti degli antenati, sentivano accendersi nel loro animo un vivissimo
entusiasmo per la virtù. 6 Certo né quella cera né quelle fattezze
celavano in sé tanta forza: era il ricordo delle antiche gesta che teneva
desta tale fiamma nel cuore di quegli egregi uomini e non permetteva che
si spegnesse prima che il loro valore avesse eguagliato la fama e la
gloria dei loro antenati. 7 Ma nell'attuale situazione di decadenza, chi
c'è fra tutti che gareggi con i suoi antenati non per ricchezza e lusso,
ma per onestà e operosità? Anche gli "uomini nuovi", che prima erano
soliti superare i nobili in virtù, ormai si aprono la strada alle cariche
militari e civili più con intrighi e con aperte rapine che con mezzi
onesti: 8 quasi che la pretura, il consolato e tutte le altre cariche di
questo tipo siano nobili ed eccellenti di per sé e non vengano invece
giudicate secondo i meriti di coloro che le ricoprono. 9 Ma l'amarezza e
il fastidio per i costumi dei miei concittadini mi hanno spinto a divagare
troppo liberamente e troppo lontano; è tempo che ritorni al mio argomento.