De bello Gallico / Libro II, 31
Ubi vero moveri et adpropinquare muris viderunt, nova atque inusitata specie commoti legatos ad Caesarem de pace miserunt, qui ad hunc modum locuti, non se existimare Romanos sine ope divina bellum gerere, qui tantae altitudinis machinationes tanta celeritate promovere possent, se suaque omnia eorum potestati permittere dixerunt. Unum petere ac deprecari: si forte pro sua clementia ac mansuetudine, quam ipsi ab aliis audirent, statuisset Atuatucos esse conservandos, ne se armis despoliaret. Sibi omnes fere finitimos esse inimicos ac suae virtuti invidere; a quibus se defelldere traditis armis non possent. Sibi praestare, si in eum casum deducerentur, quamvis fortunam a populo Romano pati quam ab his per cruciatum interfici inter quos dominari consuessent.
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Come videro che esso era spostato, e si stava avvicinando alleloro mura, spaventati dalla vista nuova e non abituale, mandarono degli ambasciatori a Cesare per trattare la pace; i quali parlarono a questo modo;essi non credono che i Romani non portano la guerra senza aiuto divino, poiché sono in grado di muovere macchine di così grande altezzacon così grande velocità; essi dissero che i loro possedimenti erano suoi. Chiedevano e pregavano una cosa: che se per caso, perla sua clemenza ed umanità, che essi avevano udito da altri, gli Aduatuci fossero risparmiati, non fossero privati delle loro armi.Poiché tutti i popoli con loro confinanti erano loro nemici, ed invidiavano il loro coraggio; dai quali essi non si possono difendere prese learmi. Era meglio per loro, se fossero stati ridotti in quello stato, che avessero patito qualsiasi destino dal popolo Romano, piuttosto che esseretorturati a morte da coloro tra i quali erano abituati a dominare.
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