Sallustio: Bellum Iugurthinum, 41

Ceterum mos partium et factionum ac deinde omnium malarum artium paucis ante annis Romae ortus est otio atque abundantia earum rerum, quae prima mortales ducunt. Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rem publicam tractabant, neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in aduersis rebus optauerant otium, postquam adepti sunt, asperius acerbiusque fuit. Namque coepere nobilitas dignitatem, populus libertatem in libidinem vertere, sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt, res publica, quae media fuerat, dilacerata. Ceterum nobilitas factione magis pollebat, plebis vis soluta atque dispersa in multitudine minus poterat. Paucorum arbitrio belli domique agitabatur; penes eosdem aerarium prouinciae magistratus gloriae triumphique erant; populus militia atque inopia urgebatur; praedas bellicas imperatores cum paucis diripiebant: interea parentes aut parui liberi militum, uti quisque potentiori confinis erat, sedibus pellebantur. Ita cum potentia auaritia sine modo modestiaque invadere, polluere et vastare omnia, nihil pensi neque sancti habere, quoad semet ipsa praecipitauit. Nam ubi primum ex nobilitate reperti sunt, qui veram gloriam iniustae potentiae anteponerent, moveri civitas et dissensio civilis quasi permixtio terrae oriri coepit.

1 commento:

  1. 1 Del resto, la divisione invalsa fra partito popolare e fazione
    nobiliare, con tutte le sue conseguenze negative, aveva avuto inizio in
    Roma pochi anni prima, causata dalla pace e dall'abbondanza di tutti quei
    beni che gli uomini considerano di primaria importanza. 2 Prima della
    distruzione di Cartagine, il popolo e il senato di Roma governavano
    insieme la repubblica in armonia e con moderazione e i cittadini non
    lottavano tra loro per ottenere onori e potere: il timore dei nemici
    ispirava ai cittadini una giusta condotta. 3 Ma svanito quel timore dai
    loro animi, subentrarono, com'è naturale, la dissolutezza e la superbia,
    compagne inseparabili della prosperità. 4 Così quella pace che avevano
    tanto desiderato nei momenti difficili, una volta conseguita, si rivelò
    ancora più dura e crudele. 5 Infatti la nobiltà trasformò in abuso la
    propria dignità, il popolo la propria libertà: ognuno si diede a prendere
    per sé, ad afferrare, ad arraffare. Così tutto fu diviso fra due partiti e
    la repubblica, che era sempre stata un bene comune, fu fatta a pezzi. 6
    Peraltro i nobili erano più potenti per la loro salda coesione, mentre la
    forza della plebe disorganizzata e dispersa nella massa si faceva sentire
    meno. 7 In pace e in guerra si viveva secondo l'arbitrio di pochi; nelle
    loro mani erano erario, province, magistrature, onori e trionfi. Il popolo
    era oppresso dal servizio militare e dalla povertà, mentre i condottieri
    dividevano il bottino con pochi altri. 8 Intanto i padri e i figli piccoli
    dei soldati, se per caso era loro confinante uno più potente, venivano
    cacciati dalle loro terre. 9 Così l'avidità, assecondata dal potere,
    cominciò a propagarsi ovunque, senza modo né misura, portando con sé
    corruzione e distruzione e non avendo rispetto né timore religioso, finché
    precipitò in rovina da sola. 10 Infatti, non appena emersero dalla fazione
    dei nobili alcuni uomini che preferivano la gloria a una ingiusta potenza,
    la città si scosse e la lotta civile si scatenò come un terremoto.

    RispondiElimina