De bello Gallico / Libro II, 27
Horum adventu tanta rerum commutatio est facta ut nostri, etiam qui vulneribus confecti procubuissent, scutis innixi proelium redintegrarent, calones perterritos hostes conspicati etiam inermes armatis occurrerent, equites vero, ut turpitudinem fugae virtute delerent, omnibus in locis pugnae se legionariis militibus praeferrent. At hostes, etiam in extrema spe salutis, tantam virtutem praestiterunt ut, cum primi eorum cecidissent, proximi iacentibus insisterent atque ex eorum corporibus pugnarent, his deiectis et coacervatis cadaveribus qui superessent ut ex tumulo tela in nostros coicerent et pila intercepta remitterent: ut non nequiquam tantae virtutis homines iudicari deberet ausos esse transire latissimum flumen, ascendere altissimas ripas, subire iniquissimum locum; quae facilia ex difficillimis animi magnitudo redegerat.
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Il loro arrivo capovolse la situazione: perfino i nostri feritisi rialzavano da terra appoggiandosi agli scudi e riprendevano a combattere. I caloni, avendo visto i nemici impauriti, affrontavano anche disarmati chi eraarmato. I cavalieri, poi, per cancellare la vergogna della fuga con una prova di valore, in tutte le zone dello scontro precedevano i legionari.Ma i nemici, anche ridotti quasi alla disperazione, diedero prova di grandissimo valore, al punto che i soldati delle seconde file salivanosui corpi dei primi caduti e da lì combattevano; abbattuti anch'essi, si formavano mucchi di cadaveri, dai quali i superstiti, come da untumulo, lanciavano frecce sui nostri e scagliavano indietro i giavellotti da essi intercettati. Non era da ritenersi senza ragione che uominicosì valorosi avessero osato attraverso un fiume larghissimo, scalare un monte tanto alto e muovere all'attacco da una posizione assolutamentesfavorevole: il loro eroismo aveva reso facili delle imprese estremamente difficili.
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