De bello Gallico / Libro VII, 54

Ibi a Viridomaro atque Eporedorige Aeduis appellatus discit cum omni equitatu Litaviccum ad sollicitandos Aeduos profectum: opus esse ipsos antecedere ad confirmandam civitatem. Etsi multis iam rebus perfidiam Aeduorum perspectam habebat atque horum discessu admaturari defectionem civitatis existimabat, tamen eos retinendos non constituit, ne aut inferre iniuriam videretur aut dare timoris aliquam suspicionem. Discedentibus his breviter sua in Aeduos merita exposuit, quos et quam humiles accepisset, compulsos in oppida, multatos agris omnibus ereptis copiis, imposito stipendio, obsidibus summa cum contumelia extortis, et quam in fortunam quamque in amplitudinem deduxisset, ut non solum in pristinum statum redissent, sed omnium temporum dignitatem et gratiam antecessisse viderentur. His datis mandatis eos ab se dimisit.

1 commento:

  1. Qui, gli edui Viridomaro ed Eporedorige gli chiedono un colloquio e lo mettono al corrente che Litavicco era partito con tutta la cavalleria alla volta degli Edui per istigarli alla rivolta: occorreva che loro stessi lo precedessero e rientrassero in patria per tenere a bada il popolo. Cesare aveva già ricevuto molte prove della perfidia degli Edui e pensava che la loro partenza avrebbe accelerato lo scoppio dell'insurrezione, tuttavia decise di non trattenerli, per non dare l'idea di voler recare offese o di nutrire timori. Prima della partenza, ai due illustrò i suoi meriti nei confronti degli Edui: chi erano, quanto erano deboli quando li aveva accolti sotto la sua protezione, costretti a barricarsi nelle città, con i campi confiscati, privi di tutte le truppe, costretti a pagare un tributo e a consegnare ostaggi, offesa gravissima; per contro, ricordò loro a quale prosperità e potenza li aveva poi condotti, non solo fino a recuperare il precedente stato, ma a raggiungere un grado di dignità e prestigio mai conosciuti in passato. Con tale incarico li congedò.

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