Cato Maior de Senectute 67

Quid igitur timeam, si aut non miser post mortem aut beatus etiam futurus sum? Quamquam quis est tam stultus, quamvis sit adulescens, cui sit exploratum se ad vesperum esse victurum? Quin etiam aetas illa multo pluris quam nostra casus mortis habet; facilius in morbos incidunt adulescentes, gravius aegrotant, tristius curantur. Itaque pauci veniunt ad senectutem; quod ni ita accideret, melius et prudentius viveretur. Mens enim et ratio et consilium in senibus est; qui si nulli fuissent, nullae omnino civitates fuissent. Sed redeo ad mortem impendentem. Quod est istud crimen senectutis, cum id ei videatis cum adulescentia esse commune?

1 commento:

  1. Allora, perché
    dovrei temere se, dopo morto, non sarò infelice o se sarò persino beato? E
    poi chi è così folle, per quanto giovane sia, da avere l'assoluta certezza
    di vivere sino a sera? Anzi, è proprio la giovinezza a essere esposta al
    pericolo di morire molto più della vecchiaia: i ragazzi contraggono
    malattie più facilmente, si ammalano in modo più grave, vengono curati con
    maggior difficoltà; quindi in pochi arrivano alla vecchiaia. Se così non
    fosse, si vivrebbe meglio e con più saggezza, perché riflessione, ragione
    e buon senso sono prerogative dei vecchi e senza i vecchi non sarebbe mai
    esistito lo stato. Ma ritorno alla morte incombente: perché farne un capo
    d'accusa della vecchiaia quando vedete che la condivide con la giovinezza?

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